In principio fu “The Weather Project”, l’eterno tramonto in cui Olafur Eliasson immerse la Turbine Hall della Tate Modern di Londra nel 2003.
È ancora quella, forse, l’immagine più iconica alla quale associamo l’istituzione britannica.
Sedici anni dopo, la Tate dedica all’artista danese-islandese la mostra monografica più ampia mai organizzata sul suo lavoro esponendo, fino al 6 gennaio 2020, circa quaranta opere realizzate nell’arco di ventisei anni di carriera.
Anche in questa occasione, come Eliasson racconta ai microfoni di Dezeen in un’intervista esclusiva, il suo intento è spingere i visitatori a guardare il mondo da una nuova prospettiva: “Quando uno lascia una mostra come la mia – spiega – vorrei che non si sentisse come se fosse entrato in una sorta di macchina dei sogni per poi tornare alla realtà. Spero invece che si avvicini alla realtà per vederla con una granularità più elevata”.
Intitolata “In Real Life”, la mostra mette dunque alla prova la percezione della realtà da parte dei visitatori, un tema comune nel suo lavoro.
Non solo. Come racconta Mark Godfrey, curatore della mostra insieme a Emma Lewis, “nell’incertezza [degli spazi di Eliasson] non risiede solo la possibilità di una risposta più giocosa alla propria realtà, ma anche l’opportunità di stabilire una relazione meno scontata con quelli che ci circondano, anch’essi impegnati a esplorare questi luoghi inusuali”.