Si chiama Bacon, Freud, la Scuola di Londra la mostra che dal 26 settembre al 23 febbraio 2020 al Chiostro del Bramante di Roma documenta le ricerche che sulla figura hanno portato avanti non soltanto artisti come Bacon e Freud, ma anche Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego.
Quella della scena pittorica londinese dal dopoguerra ai primi anni Duemila è una storia che per molti aspetti non è mai stata raccontata del tutto e questo sebbene nella metropoli lavorassero artisti di rilievo, alcuni dei quali, come Francis Bacon e Lucian Freud, sarebbero poi diventati celeberrimi. La mostra al Chiostro del Bramante di Roma documenta questo periodo intrecciando le opere e le sensibilità non soltanto di Bacon e Freud, ma anche di Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, autori che in modi diversi, ma con uguale passione hanno esplorato tutte le potenzialità del dipingere. Dal 26 settembre al 23 febbraio 2020 Bacon, Freud, la Scuola di Londra si vale così della curatela di Elena Crippa (Curator of Modern and Contemporary British Art, Tate), oltre che di uno straordinario prestito della Tate, per raccontare la fiducia di questi artisti in una pratica che, in opposizione alla fotografia e ad altre forme espressive, dimostrava di poter ancora produrre opere straordinariamente innovative.
Oltre 45 dipinti, disegni e incisioni rivelano allora come l’arte di questo periodo non desideri più coltivare la bellezza quale barriera protettiva contro il reale, ma, rivolgendosi direttamente alla realtà, voglia invece fare dell’urto con essa il proprio riferimento fondamentale. L’attrazione verso le brutture dell’esistenza restituite nella loro più cruda drammaticità, la tendenza a destrutturare l’impianto rappresentativo verso un’indeterminatezza magmatica domina, sebbene con soluzioni diverse, la pratica di tutti o alcuni gli artisti esposti. Ciò che resta, e che è al centro della mostra, è il lavoro sulla figura: Bacon lo spinge fino al limite della deformazione, ponendo però sempre, come propria preoccupazione, quello del raggiungimento di una forma possibile, anche quando ciò significa confrontarsi con quella zona di indiscernibilità tra l’uomo e l’animale che il filosofo francese Gilles Deleuze identificava con la carne nella sua imminenza di carne da macello. «Che altro siamo se non potenziali carcasse?», aveva infatti dichiarato l’artista intervistato da David Sylvester, aggiungendo subito dopo: «quando entro in una macelleria mi meraviglio sempre di non esserci io appeso lì, al posto dell’animale».
In Freud al contrario il problema della forma passa attraverso l’evidenza di un corpo umano stanco e disfatto, ancora più nudo del nudo, crudele nella propria impietosa esattezza anatomica perché vittima di quell’annientamento fisico e intellettuale di cui i suoi quadri vanno registrando ogni fase. «Voglio che la pittura sia come la carne», aveva detto non a caso per descrivere il proprio approccio artistico. Così, dai ritratti e autoritratti degli anni Quaranta e Cinquanta che danno l’avvio alla mostra, si passa a un nucleo di opere di Francis Bacon con le sue celebri figure isolate, come Study for a Portrait on Folding Bed (1963) e Portrait of Isabel Rawsthorne (1966). Lotte personali, ma anche momenti di profonda intimità e tenerezza sono i soggetti dei lavori di Michael Andrews, mentre Paula Rego esplora la condizione sociale delle donne e Frank Auerbach e Leon Kossoff mettono in luce le perturbanti atmosfere londinesi. L’esposizione si chiude con una serie di disegni e dipinti di Lucian Freud, come Girl with a White Dog (1950–51), Standing by the Rags (1988–89) e David and Eli (2003–04), dove, con lentezza e concentrazione, prende vita l’idea che aveva il pittore del ritratto come persona.