Prorogata fino al 31 agosto, la mostra Come fuoco nella cenere ospitata dal Museo MARCA di Catanzaro, raccoglie 22 opere di grande formato realizzate da Emilio Scanavino dal 1960 al 1980. A tracciare un ritratto di questo artista eclettico sono i curatori Greta Petese e Federico Sardella.
Come è nato il progetto di questa mostra?
Greta Petese: Sono stati Rocco Guglielmo, direttore della Fondazione omonima, e Antonio Addamiano della galleria Dep Art – che si occupa da una decina di anni anche del lavoro di Scanavino – a proporre la mostra all’Archivio Scanavino. La scelta di esporre una serie di dipinti di grande formato è stata dettata dagli ampi spazi del Marca che si prestavano alla valorizzazione di opere che è solitamente difficile proporre tutte insieme – si va infatti dai due metri per tre di Come fuoco nella cenere al metro e mezzo per un metro e mezzo degli altri.
Quali chiavi di lettura suggerisce l’esposizione di queste opere?
G.P.: Scanavino è uno dei pochi artisti che ha iniziato a lavorare sul grandissimo formato già negli anni Cinquanta. Non era così semplice in quel periodo, ma lui ne ha sentito da subito l’esigenza. La mostra presenta quindi opere icona del suo percorso, veri e propri capolavori, che vanno dagli anni Sessanta agli anni Ottanta e che danno al pubblico e alla critica la possibilità di ammirare qualcosa che solitamente è stato visto solo sui libri. È possibile che questa esposizione suggerisca una nuova lettura di Scanavino, tanto più che c’è, da parte dell’Archivio, l’esigenza di approfondire molti degli aspetti del suo fare e procedere che ancora non si conoscono. Si tratta infatti di un autore estremamente eclettico, che nel corso della sua carriera ha saputo spaziare dalla pittura alla scultura, alla ceramica e alla fotografia.
Federico Sardella: Le opere sono state selezionate con una certa coerenza. Il fil rouge è proprio il filo, nel senso che Scanavino ha lavorato tutta la vita con un segno erroneamente letto come informale, quando invece è un segno generato da strutture filamentose, che affonda le sue radici sia nella storia dell’arte sia nella sua esperienza quotidiana. Ci sono infatti opere che si sviluppano al loro interno proprio grazie a una sorta di sedimentazione del filo che diventa segno. Dai primi dipinti quindi, dove le presenze risultano sommerse, a tratti latenti, come fossero “fuoco nella cenere” appunto, si arriva a presenze molto più manifeste – vere e proprie “figure astratte” – e una codificazione del filo e del segno che è quasi un’indagine analitica degli strumenti della pittura.
Come si struttura l’esposizione?
F.S.: Si sviluppa cronologicamente attraverso una serie di sale in ognuna delle quali un gruppo di opere – dalle quattro alle otto – dialoga in modo coerente rispetto agli anni di produzione. All’interno di essa sono stati individuati dei quadri di grande formato, in parte considerando la loro disponibilità presso importanti collezionisti privati, la famiglia Scanavino e l’Archivio stesso, e in parte dando delle indicazioni in merito ad alcune tappe fondamentali del percorso dell’artista. Il titolo della mostra Come fuoco nella cenere è infatti quello dell’opera esposta alla Biennale d’Arte di Venezia, che nel 1960 dedicò una sala personale a Scanavino, e ancora di proprietà della famiglia Scanavino. Partendo da questa tela così emblematica abbiamo individuato una serie di pezzi che potevano così completare il percorso pittorico dell’artista, offrendo alcune possibili chiavi di lettura.
È possibile quindi all’interno della mostra tracciare un’evoluzione?
G.P.: Dal punto di vista iconografico il cambiamento è palese: nei quadri degli anni Sessanta, esposti nella prima sala il fondo risulta quasi essere senza fine e suggerisce una tridimensionalità evidente, nella quale si dispiegano presenze materiche tangibili. Andando avanti, negli anni Settanta, assistiamo invece a un cambio stilistico che si traduce in una sorta di pulizia, per cui è come se il quadro diventasse un monocromo abitato da presenze più definite. Vedendo la mostra ci si può sicuramente rendere conto di quanto il gesto dell’artista – il suo “graffio” pittorico – resti emblematico, pur cambiando l’ambientazione e venendosi a creare nuovi soggetti, mentre gli alfabeti senza fine si ispessiscono e si fanno più sequenziali.
Qual è il contributo che Scanavino dà all’interpretazione del proprio tempo?
F.S.: Si tratta di un autore che necessita di una rilettura radicale, essendo molto più distante dall’oggi di quanto non sembri. La sua carriera ha avuto un momento di grande splendore negli anni Cinquanta, quando era un artista di respiro europeo, con studi a Parigi, Milano, Roma e Costa Azzurra – non dimentichiamoci poi che ha partecipato alle più importanti mostre dell’epoca, dalla Biennale d’Arte di Venezia a Documenta di Kassel. Dopodiché è come se si fosse prodotta una sorta di distanza legata anche all’arrivo dell’Arte Povera e della Transavanguardia. Di conseguenza, la sua opera necessita di essere riconsiderata a partire da zero. Il nostro progetto è quindi riproporre all’attenzione del pubblico non solo Scanavino pittore, ma anche scultore, fotografo e ceramista, artista a tutto tondo insomma.