Fantastici, magici, onirici, reali e irrazionali, capaci di stimolare le più svariate e imprevedibili associazioni: sono gli oggetti creati dai surrealisti, oggi più che mai al centro di produzione e consumo. Lo racconta la mostra Objects of Desire. Surrealism and Design 1924–Today al Vitra Design Museum di Weil am Rhein dal 28 settembre.
«Cerco di creare cose fantastiche, magiche, cose come in un sogno, perché il mondo ha bisogno di fantasia e questa nostra civiltà tecnologica è troppo razionale, troppo meccanica. Noi possiamo rendere il fantastico reale perché esso è più reale di ciò che attualmente esiste»: così dichiarava nel 1941 Salvador Dalí, uno dei maggiori interpreti del Surrealismo, movimento d’avanguardia tra i più radicali del XX secolo. I suoi oggetti furono straordinariamente influenti per il mondo del design, avido di incorporare elementi onirici, tabù sessuali, fobie e desideri di potenza nella propria estetica. Oggi, a quasi un secolo di distanza, il processo di appropriazione di questo movimento artistico – divenuto nel frattempo un fenomeno culturale di massa – da parte non soltanto dell’arredamento, ma anche della moda, della grafica, della fotografia e del cinema è al centro della mostra Objects of Desire. Surrealism and Design 1924–Today al Vitra Design Museum di Weil am Rhein dal 28 settembre al 19 gennaio 2020.
A sconvolgere le tradizionali concezioni dello spazio architettonico, esplorando l’interno come un complesso scambio tra vita pubblica e privata, sono le opere di Achille Castiglioni, Le Corbusier, Salvador Dalí, Marcel Duchamp, Max Ernst, Ray Eames, Front, Piero Gilardi, Konstantin Grcic, Friedrich Kiesler, René Magritte, Roberto Matta, Carlo Mollino, Isamu Noguchi, Meret Oppenheim, Gaetano Pesce, Man Ray, Studio65 e tanti altri. La casa, un tema già psicologicamente ricco, diviene così oggetto di sperimentazioni per cui non significa più domesticità e sicurezza, ma si carica di allusioni oniriche, erotiche, a tratti disturbanti, capaci di accendere la fantasia, suggerire visioni ed evocare ricordi. Si pensi al quadro Il volto di Mae West che potrebbe essere usato come un appartamento surrealista che ancora Dalí realizzò tra il 1934 e il 1935 e da cui lui stesso trasse l’idea di un sofà curvilineo secondo la linea enfatizzata delle labbra della diva americana, ripresa poi da Gufram e Studio65 nel celebre divano Bocca.
Partendo dagli anni Venti, l’esposizione si apre con una carrellata di oggetti misteriosi o assurdi che Magritte e Dalí trassero dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico e che Oppenheim e Man Ray crearono invece con materiali trovati per caso. L’allestimento degli interni della galleria di Peggy Guggenheim a Manhattan, realizzato nel 1942 da Friedrich Kiesler seguendo le idee surrealiste dello spazio, conduce alla seconda parte della mostra, dove si evidenzia come dal 1945 designer come Achille Castiglioni, Piero Gilardi, Studio 65, Front e Konstantin Grcic si siano ispirati al Surrealismo per dar vita a progetti basati sulla decontestualizzazione e lo straniamento di ciò che è solo apparentemente noto. I temi dell’amore e della sessualità si fanno strada poi negli interni di Carlo Mollino e nelle creazioni di Dalí ed Elsa Schiaparelli per il mondo della moda. L’interesse per quello che l’etnologo francese Claude Lévi–Strauss chiamava il “pensiero selvaggio” chiude l’esposizione con gli approcci sperimentali impiegati da alcuni designer a partire dagli anni Ottanta, quando il loro sguardo si liberò dei rigidi vincoli del funzionalismo, iniziando a volgersi dalla forma delle cose al messaggio celato in esse.