Ospite di Meanwhile, oggi, è Maria Vittoria Baravelli e il suo “Smart Café”, progetto digitale nato per alleggerire questi giorni di isolamento forzato che si svolge in compagnia di personaggi illustri del mondo della cultura. Maria Vittoria è una curatrice d’arte e di fotografia che dal suo account Instagram @mariavittoriabaravelli condivide il suo modo di vedere il mondo e la cultura.
Per approfondire i suoi “15 minuti di pure chiacchiere” sull’arte, le abbiamo rivolto alcune domande.
Meanwhile: Come nasce l’idea di questo progetto e come pensi possa aiutare in questo periodo di quarantena?
Maria Vittoria Baravelli: In questo momento in cui siamo costretti a rimanere in casa e a lavorare in smart working, ho pensato di partire da un rito tutto nostro, squisitamente italiano, come la pausa caffè e renderla fruibile online a tutti i miei amici su Instagram. “Quindici minuti di pure chiacchiere” è il sottotitolo del format, ma in realtà la chiacchierata si prolunga sempre un po’ di più. Sai, noi ragazze abbiamo una grande difficoltà ad essere puntuali, almeno per me è così. Penso che possa avvicinare ancor di più le persone al mondo e ai protagonisti della cultura rendendoli più tangibili. In più, alla fine della diretta, una domanda agli autori può essere creata direttamente dagli utenti quindi trovo sia un’occasione molto democratica per poter far interagire tutti. Questi micro-approfondimenti sono un regalo che ci facciamo, un’opportunità di scoprire qualcosa di nuovo e, soprattutto, possono essere lo spunto per adottare un punto di vista diverso sulle cose. La mia eroina di sempre Emily Dickinson diceva che non esiste vascello veloce come un libro in grado di traghettarci in terre lontane. Oggi questa rapidità è data da internet e credo possa essere interessante per chiunque sentire storie di tempi lontani, di artisti viventi e aneddoti non così noti semplicemente rimanendo fermi e connessi.
MW: Come scegli gli ospiti che partecipano al tuo progetto?
MVB: Scelgo persone molto diverse tra loro. Alcuni sono amici, altri persone che stimo da anni e che non ho mai avuto l’opportunità di frequentare assiduamente. Eppure tutti i miei ospiti condividono una medesima caratteristica: con il loro lavoro hanno cercato di aprirsi a nuovi pubblici eterogenei, coinvolgendo tutti, indiscriminatamente. Come Arturo Galansino, il direttore di Palazzo Strozzi, che da anni porta avanti una politica museale atta a dare massimo valore all’arte contemporanea e al contempo cerca di coinvolgere persone giovani, tendenzialmente più refrattarie a visitare mostre in luoghi istituzionali. Così come Ferdinando Bruni, il fondatore insieme a Gabriele Salvatores del Teatro dell’Elfo che nel suo Manifesto dichiara che “il teatro dovrebbe essere soltanto un incontro tra esseri umani. Tutto il resto serve solo a confondere”.
MW: Come vedi il settore culturale dopo l’emergenza Covid-19 e il mondo digitale nel settore dell’arte?
MVB: Penso che il settore culturale subirà un’importante trasformazione. I musei, le fondazioni, le gallerie e gli enti che producono cultura stanno cercando e cercheranno di stare al passo con i tempi digitalizzando le esperienze museali, rendendo possibile una fruizione digitale degli spazi e delle opere. Certo, sarà molto difficile perché l’arte richiede presenza. Nessuno al mondo si accontenterà nell’arco di una vita di vedere la Gioconda solo attraverso uno schermo! Vorrei scrivere un articolo a riguardo ed avrei già il titolo “I pixel di Monnalisa”. Non ho un’opinione fissa e monolitica. Ogni realtà è a sé, quello che posso dirti è che il nostro periodo storico è il momento migliore per la cultura. I social hanno favorito la condivisione di informazioni ed il turismo ha garantito l’accesso a luoghi che originariamente erano nati per un manipolo ristrettissimo di persone. Pensa alla Cappella Sistina, agli Uffizi o ai Musei Vaticani. Oggi pagando un biglietto, prenotando per tempo, possiamo entrare nell’eternità, nella storia della nostra cultura addirittura senza fare la fila!